Prima della recensione, ringrazio l’autore, Ivano Mingotti che mi ha dato l’opportunità di leggere direttamente il suo libro.
Si tratta sostanzialmente di una distopia, un’utopia negativa al suo estremo, d’ispirazione orwelliana.
Il testo è impegnato ed impegnativo e la scelta lessicale tradisce la predilezione dell’autore per la poesia.
In un luogo non specificato, in un domani non troppo lontano, chi perde il lavoro, è perduto. Quando produrre è l’unica cosa che conta, essere disoccupati comporta la deportazione nel Paese dei poveri, nient’altro che una comunità-prigione.
Interessante lo stile di narrazione, molto descrittivo, quasi cinematografico con veri e propri zoom sulle inquadrature e la scelta di raccontare dal di fuori lo svolgimento.
L’autore ne sa praticamente quanto il lettore, tutto si rivela a noi e a lui allo stesso tempo.
D’ altro canto il ripetersi, a volte eccessivo, di alcune espressioni rallenta la lettura. Nonostante la guida dello scrittore-regista. Il problema però è che, per quanto apprezzi questa scelta dell’autore, emerge la mancanza di una descrizione psicologica del protagonista.
Il Paese dei poveri è edito da Edizioni REI e lo trovate qui
Il Paese dei poveri, Ivano Mingotti
Per chi fosse interessato alle altre opere di questo giovanissimo autore, questo è il suo sito.